L’astrazione come droga pesante


La parabola dalla moneta di metallo fino ai derivati tossici è una storia esemplare, fra le tante, che dimostra bene il vizio fatale della cultura occidentale: allontanarsi dalla realtà su per le scale dell’astrazione, per gradini di concetti e convenzioni, fino a perdere completamente l’orientamento, il senso del limite vitale, il controllo.

 

Quando il denaro non esisteva, era il dono a rinforzare i legami di una comunità, reclamando reciprocità. È quello che chiamano economia naturale.

Col tempo nacque l’abitudine di differire gli scambi diretti commisurando le varie merci a un bene di riferimento super partes che aveva per tutti un valore tangibile, immediato: ad esempio il bestiame — in latino pecus, da cui ‘pecunia’ e ‘peculato’ — oppure materie preziose per le loro proprietà fisiche.

Questo passaggio è il primo gradino di una scala di astrazioni. Da una serie potenzialmente infinita di oggetti particolari si passa a un oggetto che li rappresenta tutti, e si trova perciò a un livello concettuale superiore. “Astrarre” significa “separare”: questo primo salto separa il do dal des, il bene acquisito da quello dovuto. Non c’è più bisogno di avere quello che l’altro pretende in cambio di ciò che si vuole da lui, perciò gli scambi diventano più facili e numerosi.

Quando nel ruolo di supermerce prendono piede pezzi di oro, argento, rame, più pratici da portare in tasca che non greggi e mandrie, inizia la transizione a un nuovo regime: l’economia monetaria. Una moneta d’oro è sensata: il peso del metallo nobile di cui è fatta le dà un controvalore materiale molto concreto. Valore che si può imprimere sulla moneta sotto forma di numero, per evitare la seccatura di pesarla ogni volta.

Il numero è l’entità astratta per definizione: separa le quantità dalle cose. “Cinque” può indicare cinque oggetti qualsiasi. Un numero è un simbolo perfettamente aereo che tende all’indipendenza assoluta. E difatti il numero inciso sulle monete un giorno si stacca dal metallo, si affranca, si trasferisce su altro supporto. Saliamo così il secondo gradino della scala di astrazioni: un nuova separazione che scioglie il legame tra il valore del denaro e la materia che glielo conferiva.

Dato che la moneta non contiene più in sé il valore, diventa fiduciaria: serve qualcuno che garantisca per lei. In compenso ovviamente il commercio si fa ancora più fluido. Molto più fluido. L’ormeggio è mollato. D’ora in poi ogni ulteriore innovazione non incontrerà più gli ostacoli fisici che il metallo poneva di mezzo. La moneta doveva materialmente passar di mano, ora basterà semplicemente annotare i numeri in un registro delle transazioni.

Ed eccoci al terzo gradino della scala di astrazioni: il numero si separa dal suo supporto. La moneta diventa scritturale. La lettera di cambio, che si diffonde con le prime banche nel tardo medioevo attraverso i floridi circuiti mercantili internazionali, è un titolo di credito fondato sull’autorità di un’emittente, non più sul valore materiale della moneta né sulla sua presenza fisica. Si passa così all’economia creditizia.

Dalla lettera di cambio all’assegno il passo è breve. Dopodiché è tutta un’accelerazione verticale di rappresentazioni sempre più astratte del denaro e del capitale: obbligazioni, azioni, pezzi di plastica che chiamiamo carte di credito e debito, fino ai derivati che sono promesse, promesse di vendere o comprare dei sottostanti, i quali possono a loro volta essere astrazioni, come gli indici di borsa che sono medie ponderate.

A un certo punto però sorge un problema: come assegnare un valore a creature ormai lontanissime da qualsiasi concretezza materiale? Bisogna farlo per forza, poiché in un mercato tutto deve avere un prezzo. E qui entra in gioco il vero potere della matematica.

Nel 1973 Fischer Black, Myron Scholes e Robert Merton escogitano un modello per descrivere la dinamica di un mercato di derivati e determinarne i prezzi. Come sempre nella nostra pseudo-scienza economica, i postulati di partenza del loro modello sono analogie fantasiose ispirate al mondo della fisica: ad esempio, assumono che i prezzi dei titoli seguano un moto browniano analogo a quello dei fluidi, e che si possa comprare e vendere il titolo sottostante del derivato con continuità sufficiente a eliminare il rischio. Ciononostante, e anche questo è un classico, la luccicante equazione differenziale che gli autori compongono su questi fragili sostegni appare talmente bella che le debolezze e i vincoli a monte sono presto dimenticati.

La formula viene adottata, prende una vita sociale propria. La fantasia diventa realtà. Ma attenzione: è realtà convenzionale, come in un gioco.

Questa dottrina apparentemente scientifica sblocca l’impasse, reifica un valore concettuale e giustifica una discendenza di astrazioni virtualmente infinita.

Di astrazione vivono le pratiche piùdestabilizzanti per la finanza e l’economia globali: le vendite allo scoperto con cui si trafficano valori che non si posseggono, gli effetti leva che permettono di scommettere multipli della posta senza averne il controvalore in tasca, e i tristemente noti titoli strutturati (genericamente ABS o Asset Backed Securities) che risultano dalla trasformazione di rapporti creditizi tra individui e banche in titoli negoziabili. È la famigerata pratica della cartolarizzazione, che autorizza a impacchettare insieme e riciclare i più disparati e disperati crediti — mutui concessi a poveracci per comprarsi una casa che non possono permettersi, assicurazioni di piattaforme petrolifere offshore, obbligazioni di Paesi in fallimento, ecc. — per rivenderli a milioni di risparmiatori in minuscole frazioni di solvibilità ignota, denaro iperastratto di cui nessuno al mondo può ricostruire la provenienza e il valore.

Slanciandosi di balza in balza verso un paradiso irreale in cui le cose si spostano istantaneamente e si attraversano senza resistenza, grazie al magico lubrificante della matematica e agli applausi del pubblico, l’economia globale è pervenuta a uno stadio costituito quasi interamente di valori falsi, illusori.

Qualche dato? La fallita Lehman Brothers, la più grande bancarotta della storia degli Stati Uniti e simbolico start della crisi nel 2008, aveva una esposizione pari a 30 volte il capitale investito. Il controvalore del mercato finanziario è stimato (nessuno lo sa con certezza) tra 0,7 e 2,2 milioni di miliardi di dollari a fronte di un PIL globale intorno agli 80mila miliardi: vuol dire che almeno il 90% del suo valore non esiste (è, appunto, valore astratto). Il debito globale è stimato circa 3 volte il PIL, e già sarebbe una insensatezza; ma le cose sono di gran lunga peggiori perché l’indebitamento totale reale è sconosciuto. Anzi è inconoscibile, poiché il rischio di molti strumenti finanziari non è calcolabile: di remix in remix i pacchetti si sono ripuliti come i proventi del crimine, e hanno imboscato debiti e rischi delle loro origini metri sottoterra, con lo stesso principio di rimozione dei rifiuti pericolosi seppelliti qua e là.

Dice Andrew Lo: «in fisica 3 leggi sono capaci di spiegare il 99% dei fenomeni, laddove nella finanza 99 leggi non spiegano più del 3% dei comportamenti». Come dire che la finanza ha basi scientifiche simili a quelle dell’astrologia. Eppure Scholes e Merton hanno intascato il loro bravo premio Nobel nel 1997, e i loro scalmanati esecutori testamentari sono andati avanti a piantare ovunque semi di distruzione in un circo tecnologico drogato di moltiplicazioni, emulazioni e venerazioni, in assenza quasi totale di regolamenti, controlli e mandati di arresto. I trader hanno fatto a gara a chi sparava le più grosse «transazioni complesse, esotiche, con forti leverage», come le definisce nelle sue confessioni Fabrice Tourre, un pentito di Goldman Sachs, «senza necessariamente capire tutte le implicazioni di queste mostruosità». Il passaggio dal fisico al virtuale, un decisivo salto di astrazione che sta peraltro (conta)minando ogni campo, ha facilitato enormemente la prestidigitazione.

Finché il miraggio ha retto, è sembrata realizzarsi un’ipotesi simile alla “assenza di attrito” che si fa nella fisica didattica per semplificare i calcoli del moto. Mentre in fisica, però, tutti sanno che si parla di situazioni stilizzate e nessuno si azzarda a usarle per costruire un razzo o un palazzo, nella finanza matematica niente reality check, ogni avvertenza è stata trascurata per incontenibile gola di soldi e potere. Col trucco degli ABS le banche potevano e possono espandere a piacere il credito da concedere, e così soddisfare una domanda altrettanto gonfiata, frutto di un consumismo capace di mantenere affamate miliardi di persone che non hanno nemmeno l’ombra della fame.

Stiamo parlando di un mondo senza regole e dominato da appetiti bestiali, un mondo agli antipodi della civiltà, a dispetto della gran pompa e delle formule sofisticate.

La diffusione dei derivati complessi segna l’acme fatale della forsennata corsa all’astrazione del denaro. Succede quando si arriva a un punto critico di distanza dalla realtà oltre il quale si scatena una catastrofe di ridimensionamento. In questo caso l’implosione globale del capitalismo, accompagnata dalla crisi climatica. Nessuno sa fino a che stadio regressivo ci condurrà. Nessuno riesce a mettervi fine con gli strumenti disponibili in questo sistema teorico. «Abbiamo costruito un castello di carte talmente elaborato, sui diabolici schemi finanziari dei “brillanti” laureati del MIT e della Wharton School» ha detto Paul Samuelson, «che ci vorrà un sacco di tempo per districare la matassa e ricostruire la fiducia nel sistema finanziario. Hanno creato strumenti così complessi che nessun CEO li capiva».

La metamorfosi del denaro in un mostruoso proteo incontrollabile e distruttivo, attraverso una lunga serie di salti di astrazione, è una parabola emblematica del cosiddetto progresso: cioè della maniera caratteristica che ha la cultura occidentale di ignorare quanto peggiora mentre avanza, quanto perde mentre guadagna. È uno schema generale: si parte da risorse naturali la cui scarsità impone il valore e limita la quantità, e si finisce sempre con i numeri, con i modelli matematici, con i bit, i dati, l’informazione virtualmente illimitata. E con l’illusione che i vincoli materiali siano superabili con tecnologia e volontà, che si possa creare valore dal nulla, che si possa attingere a una perfezione trascendente. L’allucinata sensazione della potenza e del controllo tipica della tossicodipendenza.

Ma la realtà è che mentre il denaro fatto di numeri può crescere all’infinito come i numeri, l’oro è in quantità data e finita come ogni materia. E la realtà è che nell’epoca dell’IA, dei Big Data, degli smart objects, dell’Internet of Things, l’astrazione è ben fuori dalle capacità di controllo umane.

Una complessità estrema, non computabile con alcun mezzo, generata dall’uomo ma a lui stesso imponderabile, fluttua oscuramente sotto di noi come l’oceano di Solaris, pronta in ogni momento a sollevarsi in ondate casuali e devastanti. Vedi l’incapacità di fare previsioni economiche attendibili, che è ai suoi massimi storici. I pronostici su deficit, inflazione, bilanci, produzione industriale, occupazione, crescita, eccetera, sono pubblicati un giorno e ritoccati il giorno dopo, da ciascuna istituzione per conto suo, in un paradossale multi-meteo. È chiaro che questa danza di percentuali e di opinioni non serve ad altro se non a garantire la continuazione di uno show quotidiano, puro entertainment per eccitare e intimorire le platee del globo.

La foschia velenosa aggrava l’ansia e il ricorso sciamanico ad altra statistica e ad altro software; ma ciò non fa che accrescere la complessità totale del sistema e quindi la sua imprevedibilità. Un circolo vizioso da cui non usciremo mai pigiando disperatamente sull’acceleratore digitale in direzione ostinata e opposta alla realtà. Al contrario: dovremo diminuire il livello di astrazione su cui operiamo. Riaccostarci alla realtà, tornare a un più umile rispetto dei vincoli posti dall’ecosistema naturale e umano sopra il quale tutto è costruito, e di cui moltissimo ancora non sappiamo.