Miguel Benasayag conosce molto bene gli esseri umani. Oppositore della dittatura di Videla in Argentina, è stato imprigionato più volte e torturato. Poi è andato in Francia dove è diventato psichiatra-filosofo. Fra i suoi libri ce n’è uno con un titolo bellissimo che descrive in due parole il nostro tempo: L’epoca delle passioni tristi.
Qui volevo condividere con voi, da un’intervista, un suo commento alla nostra tipica idea di individuo, patologica in quanto astratta. L’idea astratta di persona che si ottiene dai modelli matematici e dal software, quella che i social network realizzano nella forma più estrema.
Il punto centrale consiste nell’avere una visione critica del concetto di “individuo”. Per me un individuo non ha legami, ma è fatto di legami. Noi siamo dei legami. In questa clinica situazionale … cerchiamo di capire insieme al paziente di quali legami egli è costituito. Io la chiamo “geografia interiore”, perché ciascuno di noi è tessuto di questi legami, nessuno possiede legami, diciamo così, opzionali. La posizione situazionale e fenomenologica parte dal fatto che dobbiamo assumere una realtà che non abbiamo scelto per niente, di cui siamo responsabili nostro malgrado. Dobbiamo uscire dall’illusione, sempre negativa, di esistere – lo disse Spinoza – come un impero dentro l’impero, ovvero di essere altro dalla situazione a cui apparteniamo, di esserne separati e distinti. … La società capitalista, occidentale, ha prodotto l’illusione che ciascun io esista come protagonista assoluto (ab-soluto: sciolto dalle relazioni con gli altri), figura principale di un film che si svolge nella sua testa, privo dei legami della situazione al punto da percepirsi autonomo e isolato. I legami … non riguardano solo i rapporti con gli altri umani, ma con l’intero ecosistema che si esprime, comunque, sempre in determinate situazioni concrete.