Un libro insolito, forte, importante e profondamente originale questo di Stefano Diana. Una lettura non facile, zeppa di digressioni, a tratti faticosa e snervante, anche se sempre capace di arricchire.
Un volume che avrebbe beneficiato di una revisione redazionale profonda e forse di più pazienza da parte dell’Autore, che non ha prodotto né un indice né una bibliografia e le cui note a piè pagina sono incomplete rendendo talvolta impossibile localizzare i suoi riferimenti.
Del resto, “Noi siamo incalcolabili” è fondamentalmente un inno all’ imperfezione, sicché potrebbe pure trattarsi di una rottura voluta con tutta quella standardizzazione (tipica della saggistica accademica anglo-americana) che rende un testo facile e perfettamente adatto ad una fruizione veloce quanto superficiale. Certamente un libro scritto, composto e impaginato da un uomo e non da un robot, un libro che pur cadendo nella definizione di saggio scientifico, non nasconde le emozioni profonde, i turbamenti, la rabbia e le paure del suo autore. Diana riesce a costruire un effetto empatia col lettore che di rado capita di provare leggendo un saggio. Finalmente un libro arrabbiato e non moderato, verrebbe voglia di dire!
Il libro si compone di due parti, diverse in dimensione, che non sono agevolmente (e forse banalmente) descrittibili come una pars destruens ed una pars construens perché entrambe sono attraversate da una vis polemica devastante e perfino iconoclasta (l’elenco dei grandi caduti è troppo lungo per essere ripreso qui e non vorrei che qualcuno si sentisse offeso in limine) che l’autore non risparmia mai al lettore. La prima parte, Dall’alto in basso, apertamente destruens ricostruisce le radici politiche e culturali che dominano il nostro mondo provocando quel fenomeno di individualizzazione (oggi robotizzazione) che per Diana presuppone (ed impone) la calcolabilità dell’umano. Egli ripercorre con un affresco di grande interesse e spessore storico-culturale la costruzione ideologica dell’uguaglianza formale che ha portato, attraverso il pensiero illuministico e della modernità, allo status quo. Diana descrive la condizione attuale come un’ideologia dell’astrazione numerica che ha prodotto al trionfo di un linguaggio matematico sempre più astratto e fine a se stesso ma che tuttavia costituisce un poderoso strumento di esercizio e legittimazione del potere. La riduzione di ogni esperienza dell’umano al commensurabile si serve di una varietà di indici come per esempio il PIL (Prodotto Interno Lordo) o l’EPL (Employment Protection Legislation) o di criteri come per esempio i crediti formativi universitari (CFU) o gli Impact Factors nella ricerca accademica. Questi criteri, introducono non solo un linguaggio matematico nella formalizzazione astratta di ogni esperienza umana ma funzionano pure come un potente sistema di soft law che con la scusa di descrivere (in modo pseudo-scientifico) cosa facciamo (al fine della sua valutazione) finiscono per imporci che cosa dovremmo fare e come dovremmo farlo. Le valutazioni astratte sono il presupposto culturale del tecno-fascismo.
La matematica e la cultura algoritmica (che consente ad Amazon.com di conoscere che cosa ci piacerebbe leggere) producono quella che Diana descrive come una “tossicodipendenza numerica” (p.53), un “illusionismo” (p 63) che dota “demagoghi ed indovini” (p. 117) come Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, agenzie pubbliche o private tipo Moody’s o ANVUR, di strumenti elegantissimi volti alla costruzione di “splendidi edifici senza fondamenta” (p.79). Diana descrive le conseguenze pratiche di questa operazione, in pagine che, denunciando “l’ubiquità della menzogna” (p. 46) offrono nuovo materiale all’ idea dello spettacolo integrato di Debord e dei situazionisti.
Non potrà sorprendere il lettore che le conseguenze siano quelle spaventose della nostra forsennata crescita estrattiva, descritta come “epopea dei free riders” (p. 155) in pagine molto belle in cui l’ autore si misura con la scienza economica posta al servizio dello sfruttamento sistematico delle risorse umane ed ambientali che producono sofferenze e stress inauditi.
Come uscire da questa situazione? La pars construens del libro prova a misurarsi con questa domanda che mostra drammaticamente i paradossi della nostra condizione. Più le persone reali, “incalcolabili”, portatrici di limiti e difetti ma anche di generosità, genialità e volontà di contribuire alla salvezza del pianeta-bene comune vi si misurano, più si persevera nella direzione del baratro. Nell’ analisi di Diana ciò sembra dovuto alla prevalenza della matematica (meglio direi del calcolabile), dell’artificiale, e dello pseudo-scientifico nella nostra soggettività diffusa (quella dell’uomo bianco occidentale che domina il mondo come l’A. ama ripetere), ancora legata alla visione e ai bisogni della prima modernità. L’astratto per eccellenza, che è poi la persona giuridica transnazionale, razionale, calcolante e calcolata nella sua essenza di macchina perfettamente organizzata al fine di esternalizzare costi e rischi della produzione, è prevalsa sull’ uomo incalcolabile e determina le scelte collettive. Il capitalismo antropocentrico ed estrattivo trova nella matematica l’alchimia del potere, la pietra filosofale che trasforma inesorabilmente, tramite la scelta dei suoi assiomi del tutto irrealisti, anche l’umano incalcolabile in un post-umano calcolabile.
In effetti, una parte sempre più cospicua di noi si trasforma ed adatta, come in una tragica profezia auto-avverantesi, alla condizione di calcolabile, computato da macchine sempre più potenti, detenute da gruppi di free riders sempre più ristretti, ricchi ed esclusivi. Chi più chi meno, come nella serie Black Mirror, si trasforma in un robot perdendo la capacità critica che deriva dai nostri processi cognitivi di “incalcolabili”, descritti da Diana in modo interessante ed accessibile. Sperimentiamo anche in modo fisico la trasformazione in robots quando, per esempio, moduliamo la voce per farci comprendere da Siri, da Cortana o dai risponditori automatici di qualche banca o assicurazione. E’ questa trasformazione progressiva, determinata dai processi dall’alto in basso descritti nella prima parte del libro che la seconda parte prova a fermare con una controspinta dal sotto in su, che potrebbe far invertire la rotta tramite una proposta che è sostanzialmente una chiave di lettura del reale coerente con la nostra natura di incalcolabili corporei. Superare la condizione di calcolabili, cyborgs standardizzati da postulati matematici che, tramite algoritmi, riproducono e determinano le nostre scelte di passivo consumo, significa in sostanza recuperare la dimensione del corpo (p. 206 ss.), della materia viva, dell’empatia, dello stare insieme condividendo spazi, emozioni, gioie e dolori. Secondo Diana disponiamo oggi di conoscenze su noi stessi ancora limitatissime ma sufficienti a mostrare la via per il recupero di un’antropologia comportamentale più coerente con il nostro ecosistema. Tale revisione è necessaria per smascherare l’ideologia del potere che si nasconde dietro alle pseudo scienze e costruire finalmente le condizioni politiche per superare il disastro della frammentazione sociale.
Del resto, la costruzione del mondo dominante nacque in un momento di capitale scarso e beni comuni eccedenti. Oggi il capitale è eccedente e i beni comuni sono in stato terminale. Pensare alla rovescia (pp. 185) è precondizione per agire politicamente alla rovescia. Diana ci offre qualche nuovo potente argomento per fare proprio questo e proprio adesso.
© Ugo Mattei twitter@UgoMattei gennaio 2017